ANNO 14 n° 120
Peperino&Co.
Ex tribunale: da qui
è passata la storia
di Andrea Bentivegna
23/04/2016 - 02:01

di Andrea Bentivegna

Da Viterbo è passata la storia. Quante volte si è sentita dire una frase simile? Eppure tra i tanti avvenimenti accaduti nella nostra città alcuni hanno indubbiamente avuto una certa rilevanza. Non parlo stavolta dei Papi né dei grandi signori cinquecenteschi, nemmeno di artisti o intellettuali ma mi riferisco ai processi celebrati nell’ex tribunale di piazza Fontana Grande.

Sì, perché se spesso la storia del nostro Paese è stata scritta nelle aule giudiziarie, beh, allora Viterbo ha certamente un posto di rilievo sui libri.

Grazie alla sua posizione “defilata”, lontana da ambienti che pregiudicassero il sereno svolgimento dei dibattiti, nel secolo scorso, il capoluogo è stato scelto più, come sede di alcuni tra i processi più importanti dell’epoca.

Tra questi non si può non ricordare quello sulla strage di Portella della Ginestra. Nella memoria collettiva questo avvenimento ha ormai contorni vaghi e indefiniti eppure, quanto avvenne il primo maggio del 1947 nel mezzo della polverosa piana siciliana, rappresenta il primo drammatico evento della neonata Italia repubblicana.

Il processo, celebrato proprio a piazza Fontana Grande, in quello che anticamente era il convento dei Carmelitani Scalzi, condannò la famigerata banda di Salvatore Giuliano per aver massacrato a colpi di mitragliatrice undici inermi manifestanti sindacalisti. Eppure i misteri su quella strage, a settant’anni di distanza, ancora oggi sono tanti e in molti hanno persino ipotizzato che si fosse trattato di un atto terroristico, il primo di una lunga serie che caratterizzerà la nostra storia, finalizzato a rafforzare una lucida strategia politica. Ma probabilmente nessuno lo saprà mai con certezza.

In realtà il tribunale di Viterbo aveva fatto la storia del paese già alcuni anni prima, per l’esattezza nel 1911. Fu allora che la Corte d’Assise si trovò a giudicare i numerosi imputati di quello che sarà ricordato come il ''processo Cuocolo''.

Trenta gli rinviati a giudizio che la mattina del 14 maggio varcarono le porte del tribunale per quello che fu probabilmente il primo maxi-processo per mafia d’Italia. L’omicidio dei coniugi Cuocolo e le successive rivelazioni di Gennaro Abbatemaggio, un pentito ante litteram, spinsero la corte a pronunciare una storica sentenza che finì col comminare un totale di 400 anni di reclusione per quasi tutti gli imputati, assestando un duro colpo alla camorra napoletana. La lettura della sentenza, arrivata a luglio del 1912, fu drammatica: non appena il giudice pronuciò la sentenza Gennaro de Marinis si tolse la vita in aula con un gesto estremo che ebbe ampio risalto sulla stampa dell’epoca.

Sebbene su gli esiti di questo processo si addensarono, negli anni, numerosi dubbi soprattutto per il modo in cui furono condotte le indagini e per le conclusioni piuttosto affrettate a cui si giunse questa rimane la prima grande condanna pronunciata in Italia ai danni di un’organizzazione criminale. Correva il 1911 e da quell’anno ne passarono diversi prima che l’esistenza stessa della mafia potesse essere anche solo accettata dall’opinione pubblica.

Da alcuni anni, però, lo storico tribunale ha abbandonato piazza Fontana Grande per trasferirsi negli spazi più moderni e adeguati della nuova sede e dell’ex convento dei Carmelitani Scalzi non si sapeva bene che farsene fino a che non è arrivata la recente decisione del Comune di trasferire lì alcuni suoi uffici.

La decisione è stata presa con l’obiettivo di trasformare i locali sotto i portici di Palazzo dei Priori in una sorta di salotto di rappresentanza per la città, liberando gli spazi dove sono tuttora collocati gli uffici dell’anagrafe e dello stato civile che presto, come detto, finiranno dalla parte opposta di via Cavour.

Qui le foto dell'ex tribunale 

Una decisione sacrosanta e attesa ma anche, in parte, rischiosa. Sì, perché liberare dei locali storici e di pregio è indubbiamente meritevole ma spostare quei servizi in un altro edificio altrettanto storico è una contraddizione. Certo, gli uffici troveranno posto non nell’ex chiesa ma nell’adiacente ex convento, una struttura difficilmente adattabile ad usi differenti, eppure l’opportunità di avere un edificio così importante, libero e nel cuore di Viterbo avrebbe dovuto stuzzicare maggiormente l’ambizione di una città che vuole candidarsi, ancora una volta, a diventare la capitale culturale del Paese. Va bene l’ufficio anagrafe ma, ed è un auspicio, si può fare di più per quel bel tribunale in cui si è fatta la storia.





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